Bobby Soul

plays that funky music

12 Gennaio – Caciucco, corde vocali e di chitarra e chilometri sulle statali

L’inizio è in salita. Mi vanto sempre delle mie competenze geografiche ma questa volta commetto un errore pacchiano. Sono convinto che Pietrasanta si trovi dopo Viareggio così costringo Alessio a non uscire a Versilia ma a proseguire. Ci ritroviamo a Pisa Nord, perdiamo tempo, benzina e pedaggi e ci presentiamo al Kansar con una buona ora di ritardo. E’ la seconda volta che andiamo da Claudio che ci accoglie a braccia aperte. E’ tutta la settimana che scrive cose bellissime su di noi, io sono quasi imbarazzato per il suo entusiasmo. Il Kansar è un posto unico, in un posto unico. Pietrasanta, con il suo fortunatissimo microclima, la visiteremo in maglietta e giacca quella notte stessa, scortati da Claudio, fra sculture di Botero, chiese e vicoli puliti e biancheggianti nella notte. All’arrivo c’è Andrea Harpo che vorrei ribadirvi quanto gli voglia bene e quanto ci aiutiamo reciprocamente – Harpo con la sua Rossa – e facciamo appena tempo a montare il palco improvvisato al centro della sala grande del locale. Ma prima di suonare ci sono gli antipasti, acciughine fritte e impepata di cozze. Dopo si va con la nostra ora abbondante di concerto: Harpo è alla mia destra e mi tocca le corde dell’anima con il suono che esce dal suo amplificatore mentre soffia con delicatezza sulle sue armoniche, Alessio mi è a sinistra e batte il ritmo sul pavimento ed è allo stesso tempo una macchina e un piacere per le orecchie.
Una trentina di persone sono a semicerchio attorno a noi. Alla fine l’applauso del Kansar è unico, qualche minuto ininterrotto, come se fossimo a teatro. Io ho la camicia blu e sono sudato a chiazze e anche un po’ commosso, perchè percepisco autenticità e riconoscenza in quell’applauso. Sono appena le 22 e 30 e abbiamo già finito. Mi cambio e ci sediamo a tavola. Arriva il Caciucco più sublime che uno possa immaginare. Si schiude da un grande vaso con un coperchio di terracotta decorata. Sarebbe una razione per quattro. Direi che io me ne mangio complessivamente una doppia razione e mezza, facendo scarpetta fino a scrostare lo smalto dalla terrina. Così accolti da amici in un posto così bello, vacilla il mio cinismo ligure. Intanto è un po’ che sento cambiare le cose dentro di me, all’alba dei miei 50 anni. Claudio ci ospita a Marina di Pietrasanta e il giorno dopo partiamo di buon’ora (le 10, per noi le 10 sono la buon’ora) in direzione Isola del Liri, in provincia di Frosinone, circa 350 km di viaggio. Un po’ per risparmiare sui pedaggi autostradali, un po’ perchè farla fuori dall’autostrada è meno noiosa, decidiamo per l’Aurelia fino a Civitavecchia. Abbiamo approntato una specie di giaciglio nella Twingo di Alessio. Fino superato il confine del Lazio io sonnecchio mentre sull’Ipod suona Kraut Rock e Mingus. Il problema con Mingus è che il sassofono è tutto mixato sul canale destro, praticamente io sdraiato poggio l’orecchio proprio sulla cassa destra e ogni volta che parte un assolo di sax sobbalzo.
Arriviamo a Isola del Liri intorno alle 18. Il locale si chiama Cantina Bukowski e quindi lo si ama a prescindere. A quell’ora è ancora chiuso.
Ci piazziamo proprio sotto la cascata e usiamo il tempo per tirare giù una versione di “Me and the Devil Blues” con il Dobro, più simile nell’atmosfera a quella di Gil Scott Heron che all’inarrivabile originale. Alle sette e mezza arriva Raffaele, quarta volta da lui, ci conosciamo ormai bene e io ho un grande rispetto per quest’uomo. Ci propone un inizio scoppiettante, tipo una Vecchia Romagna, tanto per cominciare. Opto per un più sobrio Campari Soda.
Accomodiamo mixer, chitarre e tutto il resto nel corridoio facciamo i suoni. Poi chiacchiero con la barista che ha trentanni e vorrebbe mettere su famiglia ma non gli piacciono i suoi coetanei. Dice che le piacciono gli uomini sopra i 40.In altre occasioni l’avrei corteggiata, ma qualcosa è cambiato in me. Mi verrebbe solo voglia di abbracciarla e proteggerla e non le dico quante ne dovrà passare.
Si va a tavola, pasta con alici e pomodorini e un tagliere di salumi locali con pane caldo. E una deliziosa frittata alle cipolle.
Il locale si riempe tardi, noi si inizia a suonare verso le 11 e 30, a mezzanotte è un autentica bolgia. Finiamo all’una, sudati e contentissimi. La gente all’inizio sembrava un po’trattenuta ma poi, anche a causa del crescente grado alcoolico, diventa sempre più calda e coinvolta. Una coppia ci è venuta a vedere fin da Cassino (che sta 50 km più a sud). Aveva letto che facevamo “Hurt” dei Nine Inch Nails. Io penso, cazzo trentanni che faccio Soul Music, e la gente viene a vedermi per i Nine Inch Nails! Alla fine si sta fuori dal locale fumando e bevendo, è inevitabile bere alla Cantina Bukowski e il bar è il più affollato che uno possa immaginare. Raffaele e le bariste sono funamboli con le bevande e da quelle parti vanno molto gli amari. Sentiamo di avere vinto anche quella sera, un gruppo di ragazzi di Sora ci offre una serata in un loro locale. Si parla, di politica e di tutto. Isola del Liri è ancora un vecchio avamposto borbonico che risente sicuramente più dell’influenza casertana che di quella ciociara. La bellissima cascata che scroscia incessantemente un’energia rigenerante vengo a sapere che è artificiale, fatta due secoli fa da un ingegnere svizzero per sfruttare l’acqua per le cartiere.
Dopo svariate bevande gattoniamo fino al Bed&Breakfast che per nostra fortuna sta proprio sopra il locale. La mattina colazione dalla Maria Pia che aveva avuto un alterco in passato con una donna che qui chiamerò “Zia” che mi ero portato in camera una delle volte passate. Mi chiede di lei, le dico, le voglio bene ma non la frequento più.
Lei mi risponde: “bravo, non capivo perchè un uomo distinto come lei si accompagnasse con quella signora”. Alessio scoppia in una sonora risata (penso per la definizione di “Uomo distinto”). L’indomani mi sveglio all’ora giusta, l’una insomma, Alessio non riesce a dormire fino a tardi e me lo immagino suonare la chitarra sotto l’arcobaleno della cascata mentre tenta di instaurare un rapporto sincretico con un lichene. Nonostate qualche bevanda di troppo tracannata la sera prima siamo in bolla perfetta.
Si riparte, verso il Sud dell’Umbria e decidiamo ancora una volta di farla tutta a provinciali.
Si scorre benissimo attraversando Frosinone e la Ciociaria. Dopo Colleferro, poco a Sud di Roma, ci fermiamo in un baracchino. Con sette euro e 50 otteniamo due panini con porchetta e verdure, acqua e ci offrono pure il caffè. Attraversiamo il Grande Raccordo Anulare senza troppo traffico e poi prendiamo la Cassia per Viterbo, che è grande e si va benissimo, verso le sei e mezza arriviamo a Monterubiaglio, uno di quei gioielli delle colline dell’Orvietano.
Penso che bello tornare da amici e mi compiaccio del fatto, che nonostante tutto, qualche cosa buona riesco a farla, come quella di intessere rapporti duraturi con quelli che organizzano musica e si sbattono come noi, anche se dall’altra parte della barricata. E’ la terza volta che andiamo dagli amici di Noteverde, un coraggioso gruppo di gente in gamba del posto che organizza musica ed eventi culturali. Uno di loro è il nipote del mitico Jader Iacobelli. Questa volta suoniamo nella loro sede che è anche la biblioteca di questa frazione di Castelviscardo che conta cento anime distribuite in casette grigie dai balconi fioriti. Un gioiello. I libri della biblioteca sono stati donati proprio da Jader Iacobelli che ho appreso avesse una collezione personale di 30.000 volumi. Dopo i suoni nel palco perimetrato da un arco, andiamo a mangiare nel Bed&Breakfast di Francesca, che avrebbe voluto ospitarci, ma noi abbiamo già deciso che torneremo la notte stessa. Una cena frugale, ci dicono, solo qualche assaggio.
Ora vi resoconto gli abbondanti assaggi: tre tipi di diversi di voulevant, cous cous coi gamberi, ananas fritto e pomodorini, vellutata di ceci, timballo e arista in salsa di senape (beh non era proprio senape ma buona eh, molto buona), budino.
Dopo un quarto d’ora di questo bendidio si va a suonare, insomma potete immaginarmi cantare col timballo e già 1.000 chilometri addosso.
Eppure miracolosamente canto. E tutto sembra essere bello, almeno a me sembra bello, ma insomma a giudicare dalla reazione del pubblico, a meno che non stia sognando, mi sembra proprio così.
E’ l’una. Smontiamo e carichiamo la macchina. Propongo Alessio le provinciali. Mi dice giustamente che sono pazzo. Guidiamo per l’autostrada sotto una luna immaginaria perchè in realtà c’era il nebbione. Alle sei di mattina sono a casa. Abbiamo anche venduto diversi CD.
Ho i soldi per un paio di bollette arretrate e per la prossima settimana. Claudio del Kansar ci aveva pure regalato una bottiglia a testa di Merlot umbro. Io apro la mia, bevo mezzo bicchiere sul poggiolo, brindo all’alba e al giorno nuovo e a me che sto cambiando e poi mi accascio nel letto.